Elisa Lavagnino: la birra è un prodotto agricolo e del territorio
Taverna del Vara è un piccolo birrificio nel biodistretto Val di Vara, nel levante ligure a ridosso delle Cinque Terre, che nel 2021 diventerà un birrificio certificato biologico.
Elisa Lavagnino, la nostra protagonista di oggi, è fondatrice e birraia del birrificio Taverna del Vara. Dopo anni di lavoro all’università decide di tornare alle sue radici, lì nel laboratorio dei suoi nonni, dove per più di 50 anni hanno fatto spume e vini. Chi conosce la realtà del birrificio sa che Elisa punta tutto sulle materie prime del territorio: infatti negli anni ha sviluppato una rete informale di piccoli produttori, che producono alcune delle materie prime e le sue birre sono la massima espressione di questo territorio. Inoltre, Elisa Lavagnino è famosa anche come produttrice di luppolo, che ha cominciato a produrre ancora prima di fare la birra: dalle prime 20 piante, oggi con grande orgoglio, è arrivata a 500.
Merita assolutamente menzionare che il birrificio Taverna del Vara ha una sensibilità particolare verso i problemi legati allo spreco dell’acqua in birrificio e il controllo degli sprechi in generale come il riuso delle trebbie.
Vi invitiamo a seguire la storia di Elisa Lavagnino e ad assaggiare le sue ottime birre del territorio ligure!
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Elisa, raccontaci la tua storia: qual è la tua professione e come sei arrivata ad occuparti di birra?
Io sono stata per una decina d’anni ricercatrice presso l’università di Genova e Telecom Bretagne a Brest, ho lavorato anche come progettista europea, ma la Val di Vara mi ha richiamato e quando ho dovuto scegliere se andare in Francia o restare, ho deciso di mollare tutto e recuperare l’attività dei miei nonni, reinventandola con la birra. La birra direi che è nata per caso, al bar con gli amici. E da lì tanto impegno per imparare, percorso nato con il Piccolo Birrificio Clandestino e poi continuato insieme a tanti amici, tra cui le Donne della Birra.
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Il birrificio Taverna del Vara: puoi raccontarci un po’ di più?
Noi siamo un birrificio di territorio. Coltiviamo il luppolo. Abbiamo cominciato a coltivare il luppolo, prima di fare birra. Siamo partiti con 20 piante e ora siamo a quasi 500. Adoro il luppolo, la sua forza, la sua crescita, la sua resistenza. Abbiamo diverse varietà, ma in prevalenza Cascade che da noi ha una buona resa e soprattutto lo usiamo in un sacco di ricette.
Non siamo autosufficienti, per ora. Ma preferiamo fare le cose bene e con attenzione.
Utilizziamo poi un sacco di materie prime agricole, del nostro territorio o di piccoli produttori amici. Per questo ci chiamiamo birrificio di territorio. Usiamo coriandolo, castagne, grani antichi, farro, miele, lamponi, etc tutti coltivati localmente.
Inoltre, nella nostra azienda agricola stiamo recuperando le piante da frutta di mio nonno.
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È un lavoro molto duro quello di un agricoltore, ma credo sia anche motivo di orgoglio poter usare la propria materia prima nella produzione delle birre: ci puoi raccontare come avvengono tutti i processi nella tua azienda?
Assolutamente sì. Curiamo le nostre piante manualmente e naturalmente. Senza l’ausilio di macchinari specifici. Ora è il periodo della potatura dei rizomi. Si alleggeriscono le radici del luppolo, che d’inverno riposano, e i rizomi li duplichiamo e li trapiantiamo. Alcuni li regaliamo ad amici.
Fino al mese di giugno, il luppolo cresce in altezza, va legato quasi tutti i giorni, noi lo facciamo arrampicare su filari di canapa naturale e ci sono pali di castagno a sostegno della struttura. A luglio comincia a mettere le foglie e poi i fiori. A fine agosto c’è la raccolta del luppolo. Per noi giorni di festa. Il 17 agosto organizziamo la festa della raccolta del luppolo.
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Che tipo di birre produci? A cosa ti ispiri?
Le ricette delle mie birre sono nate per caso, da incontri fortunati con produttori che mi presentavano la loro materia prima… e da lì nascevano le birre, la scelta dello stile, lo studio, la ricetta… Abbiamo cercato di rappresentare al meglio le materie che ci stanno al loro interno.
Sono tutte birre ad alta fermentazione. Le prime nate la blanche con l’antico grano di Suvero, presidio slow food e la birra alla castagna con le castagne della Bucolika di Fazzano in Lunigiana. Una storia particolare, la Baracchina con miele biologico della Val di Vara. Che riprende il nome della spuma che producevano i miei nonni.
Uno dei nostri progetti, forse più ambizioso: coltivare una parte dell’orzo in Val di Vara. Infatti dall’estate 2019, abbiamo cominciato ad usare i malti biologici della malteria Monferrato, creando una session ipa aromatizzata interamente con i nostri luppoli, usati in coni e coltivati seguendo i principi dell’agricoltura naturale. Da qui la nostra volontà di chiudere la filiera italiana in alcune delle nostre birre. Il prossimo passo, coltivare nel nostro territorio parte dell’orzo e farcelo maltare.
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Le ultime birre in rete sono delle IGA, italian grape ale, birre fatte con il mosto di vino o le vinacce. La prima, la iga per caso, è in stile blanche con aggiunta del mosto di vino bianco, con uve delle Cinque Terre. La seconda si ispira allo stile delle saison e vede l’aggiunta di sciacchetrà nella produzione. Edizione limitata che uscirà ad aprile 2021.
La nostra continua ricerca della qualità, si trasferisce anche nel controllo degli sprechi. Le nostre trebbie vengono interamente donate ad allevatori del territorio e in collaborazione con l’Università di Genova stiamo affrontando i problemi legati allo spreco dell’acqua in birrificio e il suo riuso attraverso un progetto di ricerca internazionale finanziato dal bando europeo Erasmus Plus, Adiuva. Tutto questo ci permette di definire il nostro un progetto di territorio, che mette al centro il valore delle relazioni umane e il rispetto dell’ambiente attraverso scelte consapevoli e ponderate. Il risultato è una birra che raramente esce dalle nostre zone, ma che sicuramente le rappresenta al meglio.
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Quali sono i tuoi piani per il futuro e come vedi la situazione dei birrifici agricoli in Italia? Cosa possiamo fare per migliorare la situazione e incentivare i birrifici a produrre e usare le materie prime locali nelle loro produzioni?
La direzione è quella della materia prima locale. Avvicinare le persone all’idea che anche la birra è un prodotto agricolo, fatta di materie prime coltivate e prodotte dalla terra. Sveltire la burocrazia, ridurre le difficolta e le lungaggini per i piccoli imprenditori secondo me darebbe uno slancio positivo al settore. Ovviamente cercare di stimolare la nascita spontanea di relazioni tra agricoltori e produttori di birra faciliterebbe la nascita di birre “agricole” e di territorio.
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Come donna, ti senti avvantaggiata o svantaggiata nel fare il tuo lavoro?
La donna trova sempre più difficoltà dell’uomo nel fare un mestiere, in Italia ma direi nel mondo. Culturalmente non sono facilmente eliminabili i cliché… ma come in tutto, siamo versatili e pronte a lottare e quindi anche nel settore della birra stiamo ricavando i nostri spazi. Non ne faccio mai una questione di vantaggio e svantaggio, è risaputo che la figura della donna per ora non sia ancora al pari di quella dell’uomo, soprattutto in ambito lavorativo… e per questo ci si deve credere. Ma siamo creative noi donne e quindi abbiamo una marcia in più che ci fa abbattere i limiti.
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Infine, qual è la tua birra preferita e perché?
La nostra birra alla castagna, una brown ale con castagne essiccate che aggiungiamo in ammostamento. La castagna è stata negli anni una risorsa fondamentale di nutrimento e di scambio. Credo che la forza di questo frutto possa rappresentare a fondo il nostro progetto.
Oltre che la birra è buona!!!
Maggior informazioni: www.tavernadelvara.it
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