A Marano sul Panaro le prime tre varietà di luppolo italiano
Tra qualche mese, leggendo la lista dei luppoli utilizzati in una birra, oltre ai noti Tettnanger, Cascade o Sorachi Ace potremmo leggere M/P Futura, M/P Aemilia o M/P Modna. Non si tratta di varietà esotiche provenienti dall’altro capo del mondo bensì delle prime varietá di luppoli autoctoni provenienti da Marano sul Panaro, cittadina sulla colline modenesi ormai nota a tutti gli appassionati e addetti ai lavori per il promettente progetto di ricerca. Sabato 15 si è svolto il tradizionale convegno sullo stato di avanzamento del progetto e i molti presenti all’auditorium non sono rimasti delusi: sono state infatti selezionate tre varietà di luppolo italiano che passeranno dal campo della ricerca alla coltivazione industriale.
La conferenza, moderata da Andrea Turco, autorevole giornalista in tema birrario, è stato divisa in due sezioni, la prima di presentazione e divulgazione dei risultati ottenuti dal progetto di ricerca, mentre la seconda parte più incentrata su punti di vista affini come quello di publican, birrai, degustatori, associazioni di categoria e consumatori.
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Apertura tutta in rosa con gli interventi dell’assessore regionale Simona Caselli e il sindaco di Marano Emilia Muratori, grande sostenitrice del progetto, che hanno evidenziato come i risultati concreti a cui si è arrivati possono aprire interessanti prospettive per la creazione di una filiera completa che valorizza la biodiversità locale. Dopo questo preludio istituzionale, Tommaso Ganino e Margherita Rodolfi dell’Università di Parma hanno presentato uno studio volto a rispondere al ragionevole dubbio sul fatto se esista effettivamente un luppolo italiano e se il terroir possa conferire a questo prodotto note caratteristiche e caratterizzanti. In primis il prof. Ganino ha presentato i tre luppoli italiani pronti per passare alla produzione industriale: M/P Futura, caratterizzato da marcati sentori erbacei, speziati con punte di terroso, M/P Aemilia, molto simile al Fuggle, con note speziate, floreali ed erbacee, infine M/P Modna con un amaro più deciso accompagnato da note agrumate, erbacee e resinose. Per valutare l’effetto del terroir su un luppolo, la dott.ssa Rodolfi ha confrontato luppoli di Cascade provenienti da diverse zone nel mondo (USA, Germania, Slovenia) con quelli coltivate in molte regioni in Italia. Le analisi hanno evidenziato come un Cascade coltivato in Oregon ha note decisamente differenti rispetto a quello coltivato in Michigan così come ancora diversi sono quelli coltivati in Europa ed in Italia, confermando la tesi sulla determinante influenza del terroir sulla resa di un luppolo.
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Ha chiuso la prima parte della conferenza Eugenio Pellicciari, fondatore di Italian Hops Company, cui spetterà il compito di coltivare e distribuire queste nuove varietà. Oltre all’introduzione di queste culture e qualche miglioria tecnica nell’impianto di essiccamento, la novità principale per il prossimo raccolto sarà la possibilità di realizzare i pellet di luppolo per aumentare la diffusione e la fruibilità rispetto al solo ‘fresco’ fatto fino ad oggi.
Ad aprire il dibattito della seconda parte, Alessandro Belli dell’Arrogant Pub di Reggio Emilia, che ha evidenziato come la qualità di un prodotto artigianale sia strettamente collegata con la sua freschezza, pertanto avere un luppolo prodotto in Italia, che non deve subire traversate oceaniche, può rappresentare un valore aggiunto in tal senso.
Molto interessante è stato l’intervento di Johann Heimpel, coltivatore di luppolo in Germania, per otto anni presidente dell’associazione di coltivatori di Tettnang, che ha evidenziato la necessità di creare poli di essiccamento comuni distanti al massimo una decina di km dal campo per non compromettere la qualità organolettiche dei fiori raccolti.
A seguire, Bruno Carilli ha presentato un confronto sostanziale di come sia cambiato il suo rapporto con il luppolo rispetto a quando lavorava in Carlsberg ora che è a Toccalmatto.
“In Carlsberg acquistavo alfa acidi al minor prezzo, ora sono più simile ad un cuoco: prendo del luppolo, lo degusto, ne faccio diverse infusioni prima di stabilire che effettivamente è quello che cerco. Non prendo mai un luppolo a scatola chiusa, acquisto quel lotto perchè ha determinate caratteristiche che non è detto che abbiano i lotti precedenti o successivi.”
Simonmattia Riva, beersomelier campione del mondo, ha evidenziato che la differenza tra una birra industriale ed una artigianale dipende tantissimo dalle differenti materie prime utilizzate, pertanto l’introduzione di luppoli di qualità potrà certamente aiutare ad esaltare questa differenza.
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Un interessante punto di vista è stato portato da Massimo Fraggi, membro di MoBi ma soprattutto docente di homebrewing, che ha sottolineato come la rivoluzione del luppolo italiano potrebbe essere radicale anche per chi produce la birra in casa, che potrebbe arrivare finalmente ad un contatto diretto con il produttore di luppolo (cosa adesso impossibile).
Un plauso al progetto è arrivato anche da Giuseppe di Rubbo, dirigente del Ministero delle politiche agricole e forestali, che ha anche sottolineato che per raggiungere numeri consistenti questi studi non devono rivolgersi esclusivamente a chi produce birra artigianale ma anche industriale.
Simone Monetti di Unionbirrai, ha evidenziato come questo grande risultato sia spendibile fin da subito in quanto c’è stato un confronto continuo tra le parti interessate, come ricercatori, produttori e birrai.
A tirare le conclusioni il prof. Andrea Fabbri dell’Università di Parma, che ha sottolineato come questo sia solo un primo passo, mentre la strada che si può percorrere è ancora lunga visti i tantissimi altri genotipi in fase di studio.
Giunti a questo risultato, cresce l’attesa per le prime birre prodotte: non resta che aspettare dicembre al Fresh Hop Festival.