LAMBIC: l’uso del luppolo
Avete presente quell’aroma floreale, erbaceo o fruttato tipico delle birre odierne? Beh, se stiamo parlando di Lambic… scordatevelo! Il luppolo in queste birre è praticamente impercettibile, ma ciò non vuol dire che non ci sia.
Fino al XIV secolo i birrai delle Fiandre erano soliti, per migliorare il gusto della birra, bilanciare l’estrema dolcezza del malto aggiungendo un misto di erbe e spezie detto Gruit.
Fu durante il XIV secolo che, grazie ai fiorenti commerci del Brabante col resto d’Europa, i mercanti iniziarono a importare birre provenienti dal nord della Germania. Qui, per donare l’elegante nota amara alla birra non veniva usato il sopracitato Gruit, ma fiori verdi e dalla forma conica, provenienti esclusivamente da una pianta: il luppolo.
Il suo utilizzo prese piede tra i birrai teutonici in seguito agli studi di Suor Hildegard von Bingen che fu persuasa ad aggiungerlo alla birra per le sue proprietà stabilizzanti e antisettiche. Ben presto anche i produttori Belgi si convertirono a questa tecnica. Come dicevamo, però, il Lambic non possiede il gusto e l’aroma del luppolo.
.
.
I birrai di Lambic, infatti, non usano, come tutti gli altri, i fiori del luppolo secchi, i pellet o l’estratto, ma luppoli vecchi anche di due o tre anni, che hanno quindi totalmente perso le loro proprietà amaricanti e aromatizzanti, ma non quelle antisettiche e antibatteriche. Questo aiuta a preservare il mosto da microorganismi indesiderati senza apportare amaro alla birra che, solitamente, fa a pugni coi sentori acidi tipici del Lambic.
Il luppolo tradizionalmente usato per produrre Lambic è il Coigneau, proveniente dalle zone di Aalst,a poche decine di chilometri da Bruxelles, e da Poperinge, cittadina delle Fiandre Occidentali. Siccome la disponibilità è sempre più limitata a causa del cambio di coltura dei terreni, ora gran parte del luppolo proviene dal Kent in Inghilterra, dalla regione di Hallertauin Germania o dalla Repubblica Ceca.
.
.
I luppoli destinati al Lambic, dopo essere stati essiccati, non vengono pressati, triturati e conservati sotto vuoto, bensì raggruppati in grosse balle e stoccati all’interno dei birrifici dove tranquillamente invecchiano fino a trentasei mesi. Trascorso questo tempo hanno perso il loro potere aromatizzante e amaricante per via del decadimento degli alfa-acidi presenti nella luppolina. L‘ossidazione e l’invecchiamento, inoltre, rendono solubili i beta-acidi portatori delle proprietà conservative. Questi, che non subiscono alterazioni col passare del tempo, hanno effetti antibatterici contro la crescita di microrganismi produttori di acido lattico come i Lactobacilli. Gli ossidi dei beta-acidi e gli alfa-acidi isomerizzati (l’isomerizzazione è la reazione chimica che subiscono gli alfa-acidi durante la bollitura del mosto) sono quindi importantissimi per inibire la crescita di batteri alteranti. L’ossidazione delle resine del luppolo potrebbe produrre un sentore di formaggio che, secondo alcuni, è percettibile nel Lambic.
.
.
A volte, per questioni di prezzo o disponibilità, capita anche che i birrifici ritirino dai coltivatori di luppolo tutti gli avanzi di magazzino. Succede anche che, per donare alla birra una nota altrimenti impossibile, alcuni birrai decidano di utilizzare comunque una parte di luppolo fresco. La scelta ricade spesso su varietà con bassissimi livelli di alfa-acidi per contenere sempre i livelli di amaro che raramente superano le 10 I.B.U. (International Bitterness Unit). Per quanto riguarda le quantità da tuffare nel mosto vige una consuetudine di circa 6 grammi per litro.
Oltre alle quelle batteriostatiche, il luppolo ha anche l’importante proprietà di coagulare le proteine, eccessivamente presenti nel frumento non maltato, rendendole più pesanti e quindi facendole depositare. In tal modo il mosto rimane più limpido, prima della contaminazione di batteri e lieviti selvaggi presenti nelle stanze di raffreddamento.
Bassi livelli di alfa-acidi permettono una miglior conservazione durante l’invecchiamento. Le varietà con questa caratteristica hanno un più alto contenuto di polifenoli, che agiscono come antiossidanti naturali proteggendo la birra dall’ossidazione e migliorandone la conservabilità, funzione ideale per una birra che impiegherà normalmente anni ad arrivare dal tino di ammostamento al bicchiere.